Certamente ricorderemo per sempre questi mesi trascorsi al chiuso delle nostre abitazioni (per chi le ha), privati delle nostre libertà, osservando il mondo surreale che scorreva al di fuori, con le città deserte avvolte da un silenzio angosciante e i bollettini quotidiani sul numero dei decessi e dei contagiati. Cinquantacinque giorni (dal 10 marzo al 3 maggio) vissuti non come detto con il distanziamento sociale, ma con quello fisico. Anche in queste circostanze non ci siamo dimenticati di fare sottocultura dell’informazione utilizzando termini impropri. Se questa emergenza sanitaria si fosse presentata soltanto trenta o quarant’anni fa, allora sì che avremmo vissuto un vero distanziamento sociale con quasi completa assenza di relazioni sociali. Oggi nell’era digitale pur con il blocco e l’impossibilità di incontrarci, abbiamo potuto continuare ad effettuare alcune attività lavorative in smartworking e abbiamo potuto comunque relazionarci con gli altri, seppur quasi esclusivamente con modalità telematiche.
Abbiamo vissuto questi giorni alternando momenti di angoscia, paura e depressione, ad altri in cui abbiamo dovuto necessariamente ricorrere alle nostre forze creative per recuperare spensieratezza e fiducia nel futuro. Ora in questa seconda fase guardiamo pian piano a come riprenderci appieno la nostra vista, augurandoci che questa brutta avventura, peraltro non ancora terminata, possa averci dato il necessario tempo di riflessione per individuare gli errori compiuti nel passato e la forza di reazione per mettere in campo nuovi progetti e nuovi modi di operare.
30 Agosto 2022